Premessa - RiveDelPo

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Premessa

 

Sta scendendo il sipario del silenzio su un mondo affascinante

Un anziano maestro di Costa de Nobili - poco lontano da Belgioioso - mi fece avere, una decina di anni fa, un manoscritto sulla sua giovinezza in riva al Po. Capii allora che cosa era il mal di Po, molto simile al mal d’Africa. Chi ne è colpito non riuscirà più a sottrarsi al fascino, a quell’indecifrabile amore che lega un essere umano a emozioni imperscrutabili ad altri. Ma, soprattutto, mi avvidi, quasi all’improvviso, che stava scomparendo un mondo, quello della golena, ovvero il microcosmo peculiare di quella striscia di terra che si alloca tra gli argini e il corso sinuoso del fiume. Era l’argine maestro, il confine di quel mondo. Le cascine in golena stavano crollando e, con loro, stavano abbandonando il Po gli antichi abitatori con tutta la sapienza di secoli di vita di fiume. Un mondo affascinante stava facendo scendere il sipario, in silenzio, quasi vergognoso di fatiche e tradizioni non più in linea con la modernità dei tempi. Senza lasciare traccia.
Aveva una sua precisa identità la golena, nulla a che vedere con la pianura (i suoi riti, il modello del latifondo e la sua evoluzione verso l’agricoltura del Quattro – Cinquecento descritto da tanti studiosi) oppure la montagna con la sua autarchia e le sue contraddizioni, anche in questo caso oggetto di tante analisi. Una golena meritevole di attenzioni che ho cercato in parte di fissare sulla carta, consapevole che ben altro sarebbe da aggiungere, confidando che altri aggiungano mattoni all’edificio delle conoscenze di questo stupefacente mondo.
Il Po a chi lo guardasse, ora, dall’alto di uno dei suoi viadotti a campata, probabilmente non trasmette particolari sensazioni. Ormai è ridotto a un relativamente modesto corso d’acqua, molto simile a uno di tanti fiumi bacinizzati d’Europa. Ma ben diverso è il passato. Quella sua particolare condizione che lo induce a scorrere tra due catene montuose – le Alpi e gli Appennini – lo fa unico in Europa. Dall’una e dall’altra serie di monti vi confluiscono numerosissimi fiumi. Ai tempi, con lo scioglimento delle nevi e in presenza delle piogge, primaverili o autunnali, al Po giungevano quantità impressionanti di acque. I fiumi tra il Ticino e l’Adda, l’area interessata dalla presente trattazione, si sono confusi in un abbraccio gigantesco a formare laghi indistinti che per secoli hanno contrassegnato la bassa Lombardia, il Pavese e il Lodigiano in particolare, ma anche il Piacentino, pur pressato dai monti. In un lentissimo divenire isole emerse si sono saldate alla terraferma con l’uomo a lottare, sacrificarsi, per una vita grama.
Inoltre, come se non bastasse, i confini. Il Po, da sempre ha diviso popoli di etnia diversa. Insubri e Veneti ferocemente abbarbicati a nord del fiume e Romani in epoca storica. Nei tempi vicini a noi, era l’Austria, il Ducato di Parma e Piacenza, la Repubblica Veneta, il Piemonte e il Re di Sardegna, il governatorato della Spagna e, prima ancora, il Ducato di Milano dopo le lotte comunali, all’indomani dei Carolingi e dei Longobardi. Con quel che ne consegue. Dove c’è un confine di Stato c’è sempre stato un delicato coacervo di tensioni, interessi, misure di protezione. E traffici fluviali di imbarcazioni di ogni tipo, inimmaginabili oggi. I grandi fiumi erano, del resto, le autostrade del tempo.
In questo lungo e bellissimo viaggio nella storia del Po un aspetto emerge sopra gli altri: le sue rive erano abitate da antiche popolazioni oltre 3000 anni fa. Vien da chiedersi, non so se ammirati o increduli, quando le testimonianze storiche e le fonti archeologiche ci attestano presenze romane o della civiltà del bronzo (oltre 1000 anni a. C.) come potessero essere già presenti nelle depressioni di Badia Pavese – in particolare S. Tommaso di Pezzanchera, una sorta di caput mundi - o Chignolo Po, o Calendasco. Eppure i ritrovamenti non possono mentire. Anfore, necropoli, oggetti ornamentali di bronzo cesellato risalenti a molti secoli prima della fondazione di Roma!
Insomma, ma siamo proprio sicuri che la storia del Po inizi con la conquista romana o nei secoli immediatamente precedenti? Come si spiegano tutte quelle testimonianze archeologiche che sembrano rivendicare, ad antiche popolazioni delle quali non sappiamo quasi nulla, una presenza attiva lungo le prime lingue di terra emerse in lontanissime ere. Per questa ragione è stato inserito un paragrafo con i ritrovamenti e i paesi interessati, con il sottinteso auspicio che gli specialisti in futuro si approssimino al tema e lo approfondiscano.
Così pure si rimane pensierosi nello scoprire che non solo il Po, al ritirarsi delle acque dopo le esondazioni, ha vagabondato a lungo per la pianura, spostandosi di chilometri e chilometri, alla ricerca del suo assestamento definitivo, ma anche i suoi affluenti: Ticino, Olona (straordinaria la ricostruzione dell’antico alveo, consentitaci dal fortunato ritrovamento di alcuni disegni), Lambro, Adda, Trebbia e altri corsi d’acqua minori, hanno avuto alvei che, d’acchito, sembra impossibile abbiano potuto avere. Il mare oramai non era più padrone dell’avvallamento padano, ma il suo ventre molle continuava a ingoiare quantità enormi di detriti, ghiaia (le note Gere, Giarre, Giare e toponimi simili, disseminati nella pianura). Sì, perché la valle padana era un enorme golfo del mare, prima che milioni di anni di colossali dilavamenti precipitati dalle Alpi, alla sinistra e, a destra, dagli Appennini, si siano rovesciati ad ogni glaciazione fino a colmarlo.
A Milano le conchiglie fossili marine sono state trovate alla profondità di poco più di 200 metri. Tra il Piemonte e i Colli Euganei, nella piattezza più assoluta, non vi era che una propaggine montuosa che dagli Appennini - dove sorgerà Stradella - giungeva, ricurvata ad arco sotto il Po al colle, della medesima composizione geologica, che prenderà il nome di S. Colombano al Lambro (con straordinari ritrovamenti archeologici della civiltà protogolasecchiana, more solito). Tutto il resto era mare.
Il Po, a pensarci bene, è un fiume al contrario. I corsi d’acqua solitamente si scavano il loro letto anche nella roccia se necessario, ma insolito è, all’opposto, l’arrovesciare di immani quantità di detriti tra le due fila di monti degli Appennini e delle Alpi, fino a coprire l’antico golfo marino, per disegnarsi un proprio sedimento. E, questo, per millenni, fino a prendere le sembianze di un fiume che poi, negli ultimi sussulti di vita, va a contorcersi in spasmi smisurati per cercarsi un suo definitivo alveo, incurante di danni e tragedie.
A volte ha contribuito l’uomo con spostamenti e tagli, indirizzando l’alveo del Po, ormai avviato al definitivo acquietamento, ad occupare quello dell’Olona o del Tidone, o spostando la foce del Lambro da Piacenza a monte, di molti chilometri, lasciando che fosse l’Ancona a raccogliere eredità e acque minori. Con ardire e conoscenze idrografiche sorprendenti. Le mappe, i documenti, le pergamene, sono lì, carichi di polvere e di secoli, incontrovertibili e inoppugnabili e raccontano di confini rivendicati, difesi, oggetto di infinite dispute, sicché il Lodigiano, il Pavese, il Piacentino hanno guerreggiato a lungo tra loro, ma anche con i vicini di Venezia, Piemonte e di Potenze pronte ad avventurarsi su territori dalla instabilità perenne. E quei documenti si presentano accompagnati a volte a braccetto della dea bendata – il che non guasta mai - con ricchezza di cartografie del Sei - Settecento, ma anche di secoli precedenti, così da permetterci uno straordinario tuffo in un passato assai poco noto.
Se pur ragazzo vidi la vita di golena, prima che migrassi alla metropoli milanese, figlio e nipote di genti sciamate per generazioni, al di là o di qua dell’argine del Po lodigiano, allargatesi anche al pavese e al piacentino di Calendasco – quando il Po non divideva ma univa le rive e la barca era il calesse o il veicolo che tutti o quasi avevano – ma non riconosco più quella striscia di terra lungo il grande fiume. Una città viva di colori e pulsante di vita, di grida e di richiami, di feste e di dolori, se abbandonata, silenziosa e cadente, può ancora chiamarsi città? E la golena è ancora tale, se immobile e deserta?
Ma gli edifici non sono ancora crollati del tutto e la vegetazione non la fa da padrone, se pur se ne avvertono gli insidiosi prodromi. Ciò permette un tentativo di descrivere quello che era, leggendo tra le sue pieghe. Ed è quello che mi accingo a fare.

Gabriele Pagani

Archivi e documentazione. La documentazione presente negli Archivi di Stato di Milano, Parma e Torino, oltre agli archivi civici e privati, è di straordinaria ricchezza per quanto riguarda il Po e i fiumi in genere. Per la presente ricerca ci si è avvalsi per lo più dell’Archivio di Stato di Milano, in particolare dei fondi Acque, Confini, Religione: sono centinaia di metri di scaffalature inesplorate di documentazione e di pergamene.
Milano conserva in originale e in copia molta parte del carteggio con le capitali del tempo, Parma, Torino, Venezia, in particolare, con le quali ebbe conflitti, contenziosi, trattati e necessità amministrative e politiche a non finire, agevolando così una ricostruzione oggettiva degli eventi.
Ma non ho potuto visionare che una piccolissima parte di quanto depositato. Altri, versati se possibile anche nella paleografia, potranno indagare per il meglio quel meraviglioso racconto che è stato, ed è, la vita del Po, narrazione ancora da scrivere per la massima parte.



 
 
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